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Diversamente abili

Si sono appena conclusi i Campionati Europei di Nuoto a Berlino e tutti, anche i più distratti e i meno interessati a questo sport, in un modo o nell’altro abbiamo letto o sentito un servizio, una notizia, godendo dei risultati degli atleti del nostro paese. Pochi giorni prima però c’erano stati gli Europei di Eindhoven e di questi sono sicura che siamo meno informati. È così, vero? Sempre di nuoto si trattava però, né più né meno. Nuoto paraolimpico, e qui sta la differenza. Ancora una volta ho constatato che siamo molto lontani dall’applicare un’autentica parità. Questa poca visibilità nei media (a parte quelli specifici sullo sport e le eccezioni) è un sintoma preoccupante, perché significa che la società è ancora discriminante. E in una maniera sottile: sì, perché di fatto relega in un secondo piano persone che raggiungono risultati eccellenti superando difficoltà e limitazioni fisiche a volte rilevanti, meritevoli quindi come e più di chi non conosce questi limiti; dall’altra parte, pensa che con un eufemismo (un po’ ipocrita a mio modo di vedere) come «diversamente abili» ha già messo le basi dell’uguaglianza e abbiamo fatto progressi. Meglio rimboccarsi le maniche e cercare di crescere nel rispetto della disabilità, che significa una limitazione fisica, e non è discriminante in sé.

«Non è l’aspetto mediatico a fare la differenza» diceva Federico Morlacchi in un’intervista dopo aver collezionato un po’ di medaglie a Eindhoven. Ha ragione, ma credo che una maggiore visibilità possa aiutare a creare una mentalità diversa.

Ho menzionato Federico per un motivo: è un mio compaesano, un luinese di cui siamo molto orgogliosi. È lui nella foto. Ma ditemi: in questa immagine vi sembra diverso da Phelps?