Il Giorno della Memoria quest’anno vuole rendere omaggio a tutti coloro che rischiarono la vita per salvare gli ebrei, conosciuti e sconosciuti: i “Giusti fra le nazioni”. Un riconoscimento questo, che continua ad essere dato dallo Yad Vashem, il Museo e archivio dell’Olocausto a Gerusalemme, come previsto da un’apposita legge dello Stato di Israele. Lì il Giardino dei Giusti ricorda chi cercò di salvare gli ebrei durante la Shoah, chi li nascose, chi li aiutò a espatriare con documenti falsi, chi li sfamò o diede loro un lavoro, chi, vedendoli soffrire, li soccorse in qualche modo invece di rimanere indifferente.
Nella tradizione ebraica, il concetto di “giusto tra le nazioni” è molto antico; le «nazioni» erano le tribù non in israelite dei tempi biblici. Durante la recita serale della Pasqua ebraica secondo una tradizione postbellica, gli ebrei ricordarono Shifra e Puah, le due levatrici egiziane «che sfidarono l’editto del Faraone che ordinava di annegare i bambini maschi di Israele nel Nilo», e la figlia del Faraone «che violò il decreto del padre di annegare i neonati, e salvò Mosè».
Andare contro leggi ingiuste, sfidare l’opinione pubblica in nome della libertà, della vita, della fraternità, è un miracolo che si ripete in ogni epoca in uomini e donne di tutto il mondo, a qualunque idea o religione appartengano. Come in Rwanda, negli anni 90, quando i tutsi venivano protetti da vicini di casa o amici dell’etnia hutu che si rifutavano di essere complici della caccia all’uomo coi machete. Come in Bosnia, dove molti si salvarono dalla pulizia etnica con l’aiuto di conoscenti o di sconosciuti di altre etnie. Persone che a volte diventarono esse stesse vittime, ma lo preferirono al restare inerti o indifferenti per la paura di fronte ai diritti umani calpestati.
Chi salva una vita, salva il mondo intero, recita il Talmud. E sicuramente anche in questo momento, in qualche parte del pianeta, c’è chi sta salvando una vita… Il Giardino dei Giusti non ha confini e lì, l’erba è sempre verde.