El otro somos nosotros

La rivincita di Eduardinho

L’ha chiamata così il giornalista Gianluigi Da Rold (in passato inviato del Corriere Della Sera): la rivincita su una vita di polvere e di favelas di José Eduardo Ferreira Santos, la storia di un’adozione a distanza.
Eduardo – Dinho per i ragazzini di Bahia che frequentano il centro educativo Della favela – oggi è adulto, anche se non dimostra gli anni che ha.
Nel 1992, quando si pensò di spostare le famiglie dalle palafitte in case sulla costa, aveva poco più di 15 anni. La baia Ribeira Azul, quasi interamente occupata dalle palafitte, si poteva solo intuire o immaginare. Un’ipotetica urbanizzazione e industrializzazione dell’interno di Bahia si era trasformata in un tragico fallimento. Migliaia di famiglie avevano lasciato l’interno del Brasile, la campagna, e si erano diretti verso la grande baia di Todos os Santos, cercando lavoro e una casa. Le fabbriche fallirono e le case non furono mai costruite. è qui che iniziano a condividere dolore e disperazione, portare cibo e curare bambini e ammalati, i volontari di AVSI. Nel 1992 l’incontro di Dinho con don Giancarlo, durante una delle passeggiate che il ragazzino faceva per dimenticare i morsi della fame al centro di Bahia, fino al Pelorinho, fino alla casa dello scrittore Jorge Amado, alla piazza del ‘palo’ e delle ‘gabbie’, dove si mettevano gli schiavi ribelli venuti dall’Angola. Un ambiente degradato anche quello, con un’umanità disperata, ma dove c’erano anche le testimonianze dei primi missionari, le grandi chiese, le cattedrali del barocco portoghese.
“Stavo guardando le vetrate di una chiesa, affascinato da quella bellezza. Mi si avvicinò un sacerdote, don Giancarlo, chiedendomi: cosa stai facendo? Gli ho spiegato quello che facevo, dove vivevo, come vivevo”.
La sua vita si rovescia. “Ho convissuto con la violenza e la morte. Dove vivevo io, dove vivo ancora, la vita non ha valore, non ha alcun senso. E come si può crescere se la vita non ha valore, non ha senso? Intuivo, mentre abitavo nel degrado degli alagados, che la vita si decide proprio quando si è ragazzi. E, paradossalmente, vedevo che i miei coetanei, quelli più intelligenti, più sensibili, più curiosi, si buttavano nello spaccio della droga, tra bande di delinquenti, oppure morivano di alcol e droga. Una breve vita consumata nella disperazione, nell’indifferenza generale. Eduardinho, invece, con il sostegno dell’adozione a distanza, si mantiene agli studi. Si laurea in pedagogia. E mentre Eduardinho cresce, studia e si laurea, gli organismi politici brasiliani e quelli internazionali, come la Banca Mondiale, si rendono conto delle potenzialità del progetto di recupero urbanistico degli alagados. Lentamente si dividono gli alagados in lotti di recupero, si cominciano a costruire case sulla costa. Eduardinho intanto lavora come educatore nel posto dove è cresciuto, nel Centro educativo donato da un benefattore italiano.
Adesso, mentre il piano di recupero degli alagados avanza, Eduardinho guarda i ragazzi più piccoli che giocano a pallone, che studiano, che mangiano regolarmente (tutti i giorni, anche loro).