Sabato sera, per caso, mi sono imbattuta in un canale italiano che trasmetteva la 25ª edizione del Premio Bellisario. Prima ancora di comprendere il contesto e il significato di quanto andava in onda – in effetti il nome non mi era ignoto, ma non ricordavo dove e quando avevo letto di questa fondazione – mi ha preso e attirato il tipo di donne che venivano chiamate a ricevere la «mela d’oro»: donne normali, lontane dagli standard delle copertine e dagli stereotipi della moda; imprenditrici, stiliste, economiste… donne che emanavano intelligenza, positività, femminilità. Alcune esprimevano un grazie con frasi essenziali ma dense di contenuti. Fra coloro che consegnavano il premio, anche le ministre italiane Emma Bonino e Maria Chiara Carrozza, pure loro sulla stessa lunghezza d’onda… Sono andata a dormire con la sensazione di non aver perso qualcosa che meritava conoscere.
Poco fa, ho cercato il nome «Fondazione Bellisario» in internet… un sito da conoscere. Il nome di Marisa Bellisario è noto in Italia, una vera pioniera delle donne manager: Olivetti, Henywell, Italtel… alcune delle sue tappe, in Italia e all’estero, stroncate da una morte arrivata troppo presto, nel 1988, a 53 anni. La Fondazione Bellisario è stata voluta da Lella Golfo, calabrese trasferita a Roma dal suo impegno politico. E qui mi colpisce una cosa: la scelta politica di Lella è diametralmente opposta a quella operata da Marisa a suo tempo; eppure, non ci sono fratture, non ci sono steccati, come non ci sono tra le donne premiate in questi 25 anni, delle più varie estrazioni culturali e sociali. Un ventaglio ricchissimo, dove la diversità non toglie, aggiunge piuttosto!
Così era lo spirito di Marisa Bellisario, ben sintetizzato nel suo profilo: «Nel suo modello di vita e di lavoro non c’è posto per differenze di sesso, ma di valori, e in questo modo riesce a sublimare l’idea di parità.» Un tema che merita approfondimento…