Ieri qui in Spagna il governo ha approvato una legge chiamata “di trasparenza” che mira a penalizzare, scoraggiare e quindi ridurre la corruzione, l’uso improprio, per fini privati, del denaro pubblico. Un problema comune, in varie misure e modalità, a tutti gli stati del mondo. Un problema vecchio quanto il mondo.
Riflettevo sulla necessità e quindi sulla “bontà” di questa legge, che non posso non applaudire. D’altra parte, mi rendevo conto del baratro in cui è sprofondata la società nell’esercizio della “cosa pubblica”, se è necesario coniare una legge per cercare di fare in modo che tutti, tutti i cittadini, siano semplicemente onesti. Perché mi pare che il problema, meglio, la soluzione, stia qui: essere onesti.
Ormai ci è entrato nel DNA che l’onestà è qualcosa di relativo, si può essere onesti, ma certe cose possiamo permettercele; e magari affiliamo le spade contro i politici, mentre nel nostro privato agiamo con gli stessi criteri e modalità.
Mi sono ricordata di un episodio di quand’ero ragazzina, 12-13 anni: mio padre – piccolo negozio di fotografo – mi aveva mandato a consegnare al famoso “Ufficio del registro” la denuncia dei redditi; non potendo muoversi, e visto che l’impiegato lo conosceva, aveva avvisato che sarei andata io con le carte. Ero tutta compresa nel mio delicato compito… consegnato il plico, aspettavo in piedi davanti alla scrivania, quando mi sento dire dall’impiegato: “Certo che il tuo papà è troppo onesto! Ha messo proprio TUTTO!”
Rimasi sbalordita,non riuscendo a capire come potesse esserci un “troppo” nell’onestà. O uno è onesto, o non lo è. Per mia fortuna, mio padre mi confermò che ero nel giusto.
Ben venga una legge, se aiuta tutta la società ad essere migliore, ma mi auguro che diventi realtà cioè che afferma con stile quasi profetico il grande poeta Yevtushenko: “Verrà un giorno in cui i nostri figli, pieni di vergogna, ricorderanno questi giorni strani in cui l’onestà più semplice era definita coraggio.”