Un boccone amaro in bocca: non riesco a definire altrimenti la sensazione che mi ha lasciato la notizia che da ieri sera occupa le prime pagine dei giornali spagnoli. Grazie alla sentenza del tribunale europeo dei diritti umani, una donna, membro della banda terrorista ETA, in carcere da 26 anni con una condanna a 3.828 anni per vari attentati (23 morti), da alcune ore è tornata in libertà. Secondo Strasburgo, la sentenza e la sua applicazione venivano a ledere i diritti umani di questa persona. Che, da notare, non si è mai pentita né ha chiesto perdono ai familiari delle vittime.
Strana giustizia. La dichiarazione dei diritti umani recita all’articolo 1 che «tutti gli esseri umani … devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza» e all’articolo 3 che «ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona». Princípi che cozzano violentemente col terrorismo. Basterebbe questo per cominciare a pensare che questa sentenza, seguita a un ricorso presentato dalla terrorista, ha sapore di «manovra». Non voglio e non posso addentrarmi nella valutazione di una vicenda tanto complessa, che apre troppi campi di discussione: il terrorismo, leggi che probabilmente vanno modificate, il sistema penitenziario… ma mi è impossibile tacere l’indignazione di fronte all’accaduto. Sento tutto lo strazio dei familiari delle vittime che si sentono traditi proprio da un’istituzione che dovrebbe invece rendere giustizia almeno alla loro sofferenza e alla memoria dei loro cari e invece ha come spazzato via quelle morti favorendo degli assassini…
La lotta armata non è mai giustificabile, nemmeno quando viene ammantata di rivoluzionarie espressioni che nascondono solo l’apologia della violencia e l’annientamento di tutti coloro che sono «diversi».
Ciò che più mi fa orrore è vedere che c’è chi applaude la sentenza e festeggia. Cattivo segno, di un’umanità che guarda a modelli negativi. Penso a Gandhi, a Nelson Mandela… che sarebbe stato dei loro paesi se avessero cominciato a uccidere, a seminare morte per affermare il diritto alla libertà, all’uguaglianza? Persone che sempre sono andate a viso scoperto, non incappucciate. Persone che hanno saputo pagare di persona, e per questo hanno scritto la Storia.
Nonostante l’amarezza di questa giornata, guardando in un altro angolo di mondo, mi resta negli occhi un’immagine luminosa, che allontana e rimpicciolisce questa triste cronaca. È una donna, piccola e fragile all’apparenza, ma grande e decisa, vestita di fierezza e di dignità, che proprio oggi ha potuto ricevere, dopo 23 anni che le era stato assegnato, il Premio Sájarov alla libertà di coscienza dalle mani del Presidente del Parlamento Europeo: Aung Sang Suu Kyi, l’eroica donna birmana che lotta per i diritti umani nel suo paese. Mi ridà speranza, fiducia, forza di andare avanti. Anche lei sta scrivendo la Storia.