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Coniugando il verbo «fare»

Sarà che vedo l’Italia dall’estero, e quindi col vantaggio di un pizzico di oggettivo distacco, ma l’annuncio in conferenza stampa, l’altro giorno, del “decreto del fare” da parte del governo mi ha lasciato un’impressione positiva, soprattutto per l’atteggiamento, diverso eppure simile, del premier Letta e dei vari ministri che si succedevano. Finalmente, concretezza! Finalmente, la sensazione che si stanno rimboccando le maniche – bello e significativo a proposito il segnale di Letta in maniche di camicia! – per remare assieme dentro la barca Italia scossa da una tempesta che potrebbe degenerare in tsunami.

Si sa che la strada è molto lunga, che questi sono solo i primi passi, ma sinceramente suggerirei a certi  saccenti disfattisti (o dovrei dire opinionisti?) di professione e a chi rappresenta l’opposizione in parlamento, di mettersi altri occhiali, perché la gente, cioè noi, tutti noi in definitiva, abbiamo bisogno di coltivare la speranza e non di deprimerci, a maggior ragione in questi momenti difficili. Che tradotto significa: non denigrare, non criticare per partito preso tutto ciò che non parte dal proprio schieramento, ma sforzarsi una benedetta volta di trovare in ogni iniziativa l’aspetto più positivo, prenderlo in considerazione, appoggiarlo… e poi magari, ma solo in un secondo momento,  suggerire miglioramenti, proposte addizionali o alternative che contribuerebbero alla “cosa pubblica”; questo significa, a mio modo di vedere, essere rappresentanti dei cittadini, lavorare per il bene comune.

Personalmente mi auguro che questo governo duri il più possibile, prima di tutto per il futuro dell’Italia, ma anche perché, per la sua stessa composizione, può essere una dura ma costruttiva palestra del rispetto della diversità, e comunque del Rispetto con la maiusola, a tutto tondo, una virtù della quale in molto ambiti si è persa ogni traccia.

Scusatemi, non sono un’analista política, semplicemente un’inguaribile idealista….

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