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La lettura, un’evasione? No, uno sconto di pena…

Non è una battuta, la notizia è dell’inizio dell’estate, ma con la difficoltà a pescare in rete #buonenotizie mi è capitata sotto gli occhi solo oggi. L’idea è della presidente brasiliana Dilma Rousseff, divenuta decreto legge lo scorso giugno: in 4 (per ora) carceri del Brasile ogni detenuto potrà leggere un libro al mese – letteratura, filosofia, scienza – e scriverne una relazione “con proprietà di linguaggio e accuratezza, dimostrando di averne compreso il valore e il senso”. In cambio: quattro giorni di sconto pena. Si fa presto il conto: 12 libri all’anno (per ora la legge prevede non più di un libro al mese) significano 48 giorni di libertà.

Dilma Rousseff  sa cosa significa stare in carcere: nella stagione dei generali ci rimase dal 1970 al ’73, dopo che, studentessa di familia borghese, era stata arrestata a San Paolo con l’accusa di appartenere ala guerriglia e torturata per tre settimane. Sa cosa significano il buio e l’abisso fisico e morale di un carcere, la necessità di riscatto e di redenzione. Come accendere una luce? Come far intravvedere una via d’uscita? Da qui l’idea. La lettura apre mondi sconfinati, può insegnare che anche l’odio può essere guarito, che è sempre possibile cambiare, che anche in una prigione possiamo essere liberi…

«Chiunque di loro avrà una visione più larga del mondo» hanno detto al ministero della Giustizia brasiliano.

E se provassimo ad applicarla  a noi stessi  – cosiddetti liberi – una legge di questo tipo?

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