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Un “padre” per l’Europa

“Con Václav Havel l’Europa ha perso un padre” titola la rassegna stampa su PressEurop il 19 dicembre (http://www.presseurop.eu/it/content/press-review/1306991-con-vaclav-havel-l-europa-ha-perso-un-padre)
Quella parola, “padre”, mi richiama immediatamente alla memoria la forte sensazione provata in Corea del sud anni fa, a contatto col cardinale Stephen King. Anche lui era chiamato “padre” dai coreani, cattolici e non, credenti e non. La sua paternità non conosceva frontiere e il popolo lo sentiva: quando parlava, quando rischiava in prima persona per la giustizia e la libertà, quando agiva nel privato e nel sociale.
Qualcosa di simile, seppure diverso per il differente contesto sociale e culturale, a quanto ha suscitato Václav Havel nella sua terra e in tutta Europa. «Grazie di tutto signor presidente», il saluto più semplice, disarmante e densissimo al tempo stesso.
Anche gli altri titoli la dicono lunga: «il continente è più triste e l’inverno più grigio» – «la più bella opera di Havel è stata la sua vita» – «il personaggio principale di un’opera teatrale che ha cambiato la storia» – “un uomo modesto, rimasto fedele ai suoi principi anche se fuori moda” – “ha vissuto nella verità contro il conformismo generale e l’ipocrisia”…
C’è anche chi lo chiama “l’ultimo dei politici «moralisti»: “Non era restato che lui, infatti, a incarnare un modello nuovo di statista. Lo statista che va al potere portandosi dietro non soltanto gli interessi di parte, l’ambizione personale, la capacità di galleggiare tra le miserie della politica, ma anche una visione dell’uomo e del mondo più ampia, più alta…”
E in che cosa consista questa “visione più alta” forse possiamo cercarlo nella vita e nelle opere di Havel, quando lancia “il coraggio di essere folli.. ossia cercare con tutta la serietà possibile il cambiamento di ciò che viene definito immutabile” o quando s’interroga sulla natura degli scrittori dissidenti e può affermare che sono “gli unicí a dire ad alta voce quello che tutti sanno ma di cui nessuno ha il coraggio di parlare apertamente… parlano per chi rimane in silenzio, rischiano la vita al posto di chi non osa farlo”.
Ecco due elementi in comune fra un uomo di religione, un cattolico asiatico membro della gerarchia, e un laico europeo, uomo di cultura e politico: una visione alta dell’esistenza ed essere pronti a rischiare la vita. La storia non ha chiesto loro di essere martiri, ma sono stati autentici testimoni di ciò in cui credevano e hanno saputo incarnare la coscienza di un popolo. Per questo la folla li ha chiamati “padre”.
Conosceranno l’Europa e il mondo altri padri per il terzo millennio?

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