L’uomo della speranza, angelo invisibile, l’anonimo signore, l’uomo della solidarietà, l’uomo della provvidenza, l’uomo che fa vivere la speranza… Non ha volto né nome, ma grazie a «lui», nella Milano «dura e spietata», tante storie di povertà e dolore si sono trasformate in Buone Notizie e, quel che più conta, tante vite non sono «rimaste indietro»: Gaspare, malato e pieno di debiti che da due anni viveva nell’auto; Noemi pensionata impoverita; Mohamed, piccolo tunisino con una rara malattia genetica; Salvatore, indebitato e inseguito dagli usurai; Aldo, Virginia…
Ma chi è «lui» e perché lo fa? Tenetevi saldi, la risposta è micidiale: «Ho lavorato nel mondo delle grandi banche e posso garantire che ci sono centinaia di manager con entrate milionarie che potrebbero fare quel che ho fatto io: ma forse voltano la pagina di cronaca, preferiscono quella degli spettacoli… L’ho spiegato ai miei figli. Chi ha deve aiutare chi non ha. Il valore dei nostri gesti è direttamente proporzionale a quello di cui ci priviamo per aiutare gli altri. Credo abbia più peso il gesto di un pensionato che rinuncia a venti euro che non quelli come me, che non devono rinunciare a nulla. Nemmeno al superfluo».
Se vi fosse sfuggito, leggetelo per intero l’articolo sul Corriere della Sera dello scorso 29 giugno, a firma di Giangiacomo Schiavi e con l’hashtag #buonenotizie. «…non tutto è peggio, non ci sono solo cattive notizie – conclude l’autore – c’è una carità spontanea, quotidiana, che attraversa Milano. Non cerca pubblicità e non vuole il suo nome sui giornali. È la carità che non conosce altra regola se non quella di regalare un frammento di umanità e di speranza a chi si è messo (o è stato messo) ai margini della società. Bisogna far sapere che esiste.»
Sì, facciamo sapere che esiste. Farà bene a noi, ai nostri colleghi, ai vicini del condominio, alla nostra città e al nostro Paese, agli amici di Facebook e ai followers di Twitter… Ma facciamolo sapere! #BUONENOTIZIE