Immobile e in silenzio. Per più di cinque ore in mezzo alla piazza Taksim, nella notte tra lunedì e martedì; ha espresso così la sua protesta Erdem Gunduz, giovane coreografo di Istanbul. Un artista abituato al palcoscenico sa bene quanta forza occorra a stare sulla scena, senza dire e fare nulla, trasmettendo un messaggio col solo ‘essere’. “Esprimo un dolore”, ha detto. Quell’immobilità e quel silenzio hanno gridato più forte di ogni gesto e di ogni parola; più forte del concerto di pentole e clacson della manifestazione contro Erdogan che alla stessa ora iniziava in tutto il paese. Ha innescato una reazione a catena: si sono aggiunti a lui sulla piazzza, uno, cinque, cento…
Il passaparola delle reti social ha fatto il resto; l’hashtag #duranadam (uomo in piedi) ha girato mondo, così il gesto di Erdem si è moltiplicato in altri quartieri, in altre città, nei luoghi símbolo della Turchia, anche in parlamento, e poi fuori, tra i turchi emigrati. Uno di questi si è messo “in piedi” addirittura sulla Muraglia Cinese…
Il coreografo ha annunciato che continuerà la sua protesta, ma il suo gesto solitario già è diventato azione di massa: è stato lanciato anche un appello perché in tutta la nazione coloro che vogliono aderire alle 8 di ogni sera si fermino e diventino “uomini e donne in piedi”.
Auguriamoci che il governo turco usi la ragionevolezza e decida di percorrere la via del dialogo; una folla silenziosa, immobile e disarmata che fissa l’immagine del padre della patria Ataturk in piazza Taksim va ascoltata.
A me, forse a tutti noi, Erdem ha ricordato che di fronte a qualsiasi avversità, occorre mettersi “in piedi”, guardando diritto verso un punto di riferimento sicuro.