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Rizana, straniera e donna

L’Arabia Saudita, considerata una delle aree in cui si è organizzata la società umana  –  e  per questo definita “culla dell’umanità” – il paese del petrolio e degli sceicchi, è stato teatro di un ennesimo, abominevole delitto contro le donne. Rizana Nafeek, una lavoratrice migrante dello Sri Lanka, è stata decapitata il 9 gennaio 2013 nella città di Dawadni, a est della capitale Riad.

Guardo l’immagine di lei, quella che pare una fotocopia del passaporto;  sento il suo orrore, la sua ribellione, la sua paura… come avrà potuto vivere questi tremendi anni di attesa nel braccio della morte? Aveva lasciato il suo paese alla ricerca di una via d’uscita alla povertà e l’iniqua  “legge” di una nazione si è accanita contro di lei, straniera e donna.

Rizana era stata condannata a morte il 16 giugno 2007 per l’omicidio di un neonato che le era stato affidato, avvenuto due anni prima. Si era sempre difesa sostenendo che la morte per soffocamento era stata accidentale e causata dalla sua imperizia come baby-sitter. 

L’Asian Human Rights Commission (Ahrc) sostiene che «né il governo, né l’ufficio del presidente hanno fatto qualcosa per salvare la vita di Rizana, nonostante gli innumerevoli appelli della famiglia e della società civile».
 Originaria di una famiglia molto povera del villaggio di Mutur (distretto orientale di Trincomalee), Rizana era arrivata in Arabia saudita nel 2005, a soli 17 anni  per lavorare come cameriera. Il passaporto però riportava come anno di nascita il 1982: una condizione, quella della maggiore età, necessaria per poter trovare un impiego nel paese. Il certificato di nascita attesta invece che  era in realtà nata nel 1988. Ciò significa che l’Arabia Saudita ha messo a morte una minorenne al momento del reato, in violazione della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia.

Il bambino del suo datore di lavoro è morto mentre lei prestava servizio. Rizana è stata accusata di omicidio e condannata a morte con un processo-farsa, basato su una confessione firmata senza che ne conoscesse il contenuto, perché scritto in arabo, lingua a lei sconosciuta; oltre a non avere avvocato difensore, non le avevano dato neppure un servizio di traduzione dall’arabo al tamil.

Fino a quando dovremo assistere impotenti a esecuzioni come questa? Fino a quando l’orrore verrà gridato con tutti i mezzi e in tutet le sedi senza ottenere risposta e nemmeno attenzione?  Fino a quando le donne saranno vittime della più brutale delle follie?

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