Libano. Il 25 settembre del 2005 May Chidiac esce dal santuario di san Charbel, sale in macchina, gira la chiave e si volge per deporre sul sedile posteriore l’acqua benedetta, le icone e l’olio santo che le avevano dato… L’auto salta in aria: un chilo e mezzo di esplosivo era collegato al sistema di accensione. “Ma quel movimento – sono parole di May – mi ha salvato la vita”.
In quel momento May Chidiac, giornalista, era conduttrice di LBC, Lebanese Broadcasting Corporation, il principale network televisivo libanese. Da anni curava anche il più importante talk-show politico. Il giorno dell’attentato, durante la trasmissione, aveva difeso pubblicamente l’indipendenza del Libano contro l’egemonia siriana rendendo pubblici importante elementi sull’inchiesta relativa all’attentato contro il primo ministro Rafiq Hariri e i 12 assassini che erano seguiti.
Un personaggio più che scomodo, May; da ventanni dominava gli schermi, intelligente professionista, donna affascinante ed elegante, vera icona della bellezza mediorientale.
Nell’attentato ha perso la gamba e la mano sinistra; dopo aver lottato tre giorni tra la vita e la morte, ha subíto 33 interventi chirurgici e si è sottoposta a mesi di riabilitazione in Francia. Il 25 luglio 2006, dieci mesi esatti dopo l’attentato, May è tornata in tivù con una nuova trasmissione intitolata “Con audacia”.
Il Libano l’ha accolta come un’eroina ed è divenuta anche il simbolo della lotta per la libertà di parola delle donne in Medio Oriente. È iniziata una seconda vita per May Chidiac, più intensa e movimentata della prima; premi e riconoscimenti internazionali… e altre minacce di morte.
Ma se gli attentatori, fallito il tentativo di ucciderla, pensavano di aver distrutto, assieme alla sua bellezza, la sua personalità, si sono sbagliati. Proprio per la sua forza interiore e i valori in cui crede oggi May non rinuncia ad essere bella ed elegante, nonostante le sofferenza fisiche che l’accompagnano. Preferisce la mano artificiale a quella meccanica, per l’estetica; e ha ottenuto una protesi che le permette di portare tacchi alti. “Certi giorni mi ribello, odio il mio corpo. Ma voglio ritrovarmi, e sono convinta che poco per volta mi ritroverò, le mie protesi mi diventeranno familiari, troverò il ritmo adatto al mio nuovo corpo…”
Non è facile per May Chidiac questa seconda vita: “… a volte mi arrabbio con Dio e gli dico: «Avresti potuto impedire all’assassino di premere il bottone, avresti potuto provocare una panne, se davvero volevi salvarmi. Perché mi hai lasciato viva per portare questa croce? È troppo pesante per me. Ma poi penso che è intervenuto… Ha salvato il mio viso, mi ha dato la forza per continuare la lotta, riprendere il mio lavoro in tivù, provare al mondo intero che gli assassini non possono vincere».
Non per nulla May ha intitolato il suo libro “Il cielo dovrà attendermi”.
[“Il cielo dovrà attendermi” (Tea 2008, pp. 213)]