È morta ieri 12 giugno a 78 anni la prima donna ad essere insignita del premio Nobel per l’economia nel 2009: Elinor Ostrom, che ha dimostrato come i beni collettivi non siano necessariamente destinati alla rovina ma possano essere gestiti efficacemente dalle associazioni di utenti.
Padre ebreo e madre protestante, californiana di Los Angeles, laureata in scienze politiche, ottenne il master e il dottorato con uno studio sulla gestione comune delle acque sotterranee in California; vale a dire come regolamentare , sfruttando anche le legislazioni vigenti, l’approvvigionamento d’acqua da un bacino sotterraneo di cui usufruiscono più città in modo che sia equo e soddisfi i bisogni di tutti. Il suo interesse per i beni comuni dunque viene da lontano, una passione si può dire, che è sbocciata nel suo specifico apporto alla teoría economica. Elinor Ostrom ha illuminato e documentato con estesa e meticolosa evidenza il fatto che è possibile una gestione collettiva ed efficiente delle risorse comuni, che esiste una terza via tra stato e mercato, tra pubblico e privato. Anzi nei suoi libri spiega che pubblico e privato sono categorie astratte che non si trovano nel concreto delle istituzioni sociali e economiche. La grande attenzione alla realtà multiforme e varia nel mondo è un’attitudine presente nelle ricerche della Ostrom, che dichiara con assoluta lucidità metodologica di muoversi continuamente fra teoria e osservazione empirica, che si devono alimentare a vicenda nella scienza economica.
Nell’economia ambientale uno dei principi portanti è la cosiddetta “tragedia dei beni comuni”; cioè che tutti godono i benefici dei beni comuni ma non ne sostengono i costi, nessuno ha cura di mari, acque, atmosfera… Di conseguenza, secondo questa teoría, l’umanità si comporta in modo irrazionale e distruttivo. Elinor Ostrom invece ha dimostrato che in molti luoghi del mondo non è così: dalla Cina alla Svizzera, dalla Spagna alle Filippine le comunità locali si sono date regole efficaci per conservare risorse comuni scarse e preziose, come l’acqua di fiume, i pascoli di montagna, i banchi di pesce, le foreste. Regole che sono state messe a punto attraverso prove ed errori e sono sopravvissute per secoli.
Di più: l’utilizzo di risorse comuni non solo può ma di fatto è stato organizzato in modo da evitare sia lo sfruttamento eccessivo sia costi amministrativi troppo elevati e sostiene con vigore l’esistenza di soluzioni alternative alla “privatizzazione” e la possibilità di creare istituzioni di autogoverno permanente.
Il suo lavoro più noto è Governing the Commons del 1990 (in italiano Governare i beni collettivi, Marsilio 2006); la Ostrom qui cerca le caratteristiche comuni delle istituzioni che hanno funzionato, garantendo nel tempo l’interesse di tutti; mette in luce la rilevanza economica di valori immateriali come la speranza nel futuro, la reputazione, il senso della comunità… valori che nelle emergenze agiscono più di qualunque ordine o imposizione.
Gli esempi di istituzioni che funzionano Elinor Ostrom li trova nel tempo e a 360º:
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i pastori di un villaggio del canton Vallese che hanno definito nei secoli (i primi documenti considerati sono del 1200 e le prime norme sono del 1507) quanti animali ciascuno può allevare sulle terre comuni senza danno per tutti;
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i contadini giapponesi di alcuni villaggi di montagna (Hirano, Nagaike, Yamanoka) che si sono organizzati per il taglio razionale della foresta con regole e controlli decisi all’interno delle comunità di villaggio;
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il sistema delle huertas spagnole sviluppatosi fin dal 1400 nelle zone attorno alle città di Valencia e Alicante per fare in modo che ogni contadino possa coltivare nonostante si tratti di una zona semiarida, il che implica anche la costruzione e la manutenzione di canali;
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le comunità di irrigazione nelle Filippine, di cui si hanno documenti del 1630, con problemi simili a quelli spagnoli e soluzioni diverse ma altrettanto funzionali.
Auguriamoci che la teoría di Elinor Ostrom non venga solo ricordata per il riconoscimento del Nobel, ma soprattutto venga diffusa e applicata; sarebbe altrimenti un grave torto a questa donna speciale che ha saputo coniugare idealità e concretezza.